Eugenio Montale a Milano nel 1975
EUGENIO MONTALE, Satura 1962-70 (Milano, Mondadori 1971).

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino

Eugenio, come fai? Come si fa ad accompagnare una donna per il tempo che merita, tenendole il braccio, aiutandola ad affrontare la discesa ripida per poi ripercorrere la stessa strada senza Lei.
Intraprendere il viaggio, scorgere tra gli occhi di una persona la meta e decidere di accompagnarla comunque andranno le cose è complicato, ma lo è ancora di più quando lei vive solo dentro di te. Quando la carne lascia il corpo. La mente viaggia libera. E il caos penetra tra le fessure di una tapparella.

Posso, io, dialogare con te?

Ho acceso, guardandoti negli occhi, la luce
Dalle tapparelle il caos era già dentro casa
Ed io
Ho tappezzato i buchi con rumori bianchi 
Per non dover sentire l’eco dell’universo

Hai chiuso, baciandomi un’ultima volta, la porta
Delle nottate non vi era più traccia
E tu
Hai svuotato il mio animo con silenzi precoci
Ma finalmente ho distrutto me stesso per ritrovarmi

Ci provo, a vedere i colori come te caro Eugenio, ma io, di esperienza non ne ho. E tu, sembri cosi lontano dai giovani d’oggi. Perché io, allora, ti vivo cosi intensamente?

Una casa l’ho mai avuta?

Cosa c’è di tanto sbagliato in me, che non riesco a spegnere i pochi, fiochi, colori del romanticismo di ieri? Mi domando quando riuscirò a spostarmi di lato sul mondo e in un secondo farmi così piccolo da entrare nella tua borsa, sentire le parole basse ed immorali della gente di mare e provare sensazione di casa, quella che mi manca da sempre e da sempre mi fa domandare se mai una casa l’ho avuta.

I modi meschini con cui mi guardi con la tua poesia, amando così tua moglie, mi fa venire mal di stomaco. La prima volta che lessi la tua poesia, in treno, mi misi a piangere. L’hai fatto per soldi? Per fama? Per diletto? C’è, nel mondo, qualcuno che scrivere per noia? C’è, in casa, qualcuno che può leggermi?

Quando la poesia è poesia?

Mi domando, incessantemente, se veramente servano lettori per scrivere, cos’è la poesia quando rimane nelle quattro mura? Cosa sono i miei mondi fantastici se si trovano nell’incrocio tra Via Cucina e Via Soggiorno? Vorrei poter vivere esprimendo i miei pensieri, ma questo linguaggio, così macchinoso, così tracotante, limita le mie fantasie, dipinge quadri asettici e spera in un mia défaillance per stringermi una corda attorno alla gola. Vengo meno alle mie promesse. Mi ripiego in una cattedrale di specchi e mi rinnego sperando di rivivermi. Ma poi. Come ogni sera. Io scappo da me.

Come si fa a scrivere, dimmi tu Oh Eugenio! trovando una casa nell’inchiostro nero che martella sulla neve. Come si fa a vivere e come si sta al mondo, Oh Eugenio! se non conosci il proprio nome.

Fotografia di Rai Cultura

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