Il flusso di coscienza di oggi, un ritratto di città.

Un lavoro su Maderna e Berio

Mi chiedevo, all’incirca da tutto il giorno, quale fosse l’ultimo secondo della sera.

Mi chiedevo, da circa tutto il giorno, quanto del mio ego fosse intrappolato dentro te. Potrò mai io disegnarti come ti immagino? No Andre, non c’è niente che rispecchi la realtà, tutto è fantasia e il tuo mondo lo hai auto generato.
Potrò mai scalfirti come fai tu con me?

C’è un tempo per dormire ed io l’ho sempre ignorato, maledetto me e il mio sentirmi vivo.
Potrei finire con l’amarti per sempre e forse mi basterebbe anche ciò, chi mai l’ha deciso che l’amore debba essere condiviso? Io amo indipendentemente da te, io forse amo per me.

È già passata la mezzanotte e per la prima volta sono in ritardo, maledetto me e il mio sentirmi straniero in patria.
È già passata la mezzanotte ed io son perso, tra l’eco di campane di una città dormiente…

Aspetterò un’ ora, o due.

Le strade si svuotano, le luci delle televisioni smettono di illuminare le sagome ed arriva quell’ora, quel minuto o soltanto quel secondo, in cui l’unico sveglio nella città sono io.
I marciapiedi pullulano di silenzi assordanti, nessuna pattuglia ora controlla la strada, non son sicuro che sia la pioggia a fare rumore o siano i miei pensieri a frastornarmi per un’ ora, in quel minuto o soltanto un secondo, in cui la città dorme.

Son spenti i fumi delle fabbriche, ti infili tra le rotaie, raggiungi la periferia ed esulti, silenzio passante e spegni quei portici, quelle case ancora sonore, che inutilmente tardano a fare ritorno.
Passi tra le officine e quei pochi giardini superstiti tra i nuovi palazzi.
Tra le osterie ancora pesanti di fiato.
Ti impadronisci della città e spegni le ultime voci e vivi, per un minuto o un secondo, il tuo attimo di libertà.
Per un minuto o solo un secondo sei libero da quei teneri amanti, dal loro estremo saluto, dai pianti irrequieti dei fanciulli e le urla di un ospedale.
Per solo qualche ora o pochi istanti, ti ritrovi solo, senza i sogni della gente e gli spasmi di un teatro d’amore.

E per interminabili secondi o brevissime ore perdi il senso, città. Nessuno più ti abita, solo io ti vedo vivere tra i muretti e i lampioni troppo vecchi per sopportarmi un’altra notte, ma forse è proprio qui che respiri ed aspetti il primo canto.

Non so neanche se succeda veramente, forse mai lo saprò, ma deve esistere di per certo quell’ora, quel minuto o soltanto un secondo in cui la città si ritrova nel silenzio.
Il ritratto di città ora lo vedo solo io.
Non sono sicuro ma spero, che per un secondo, un minuto o soltanto un’ora le sagome dei tetti si inseguano e giochino a creare figure tra le mie persiane mentre la città aspetta il risveglio dei suoi abitanti.

Foto di: Associazione Culturale “Immagini dalla Memoria” – Archivio Citterio 
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