Disegnavo su un foglio il percorso della mia vita, ripercorrendo le fasi che mi avevano portato a essere chi sono.

Analizzando quello stupido schema mi accorsi di quante cose avrei cambiato se solo avessi potuto tornare indietro, ma io non potevo. Il mondo gira intorno alla soffocante idea di scriversi al passato. Così facendo ho passato anni a rassicurare il mio vecchio me, credendo questo possa cambiare il modo di vedermi.

Ero uno stronzo, ma mica in senso buono, mica trattavo male gli altri, trattavo male me. Quante volte, preso dalla rabbia, mi sono rifugiato nei rimorsi di una vita, questo può essere salutare secondo voi?

Io non sono ciò che ero.

Non sono nemmeno ciò che sono e non sono ciò che sarò.
Il malato desiderio di convincermi del contrario mi attanagliava la mente, in cerca di soluzioni a breve termine composte da captatio benevolentiae nei miei confronti.
Mi illudevo di essere, così non ero.

Mi odiavo, forse… Mi odio, sicuro

Accorto della sufficienza con cui trattavo la mia interiorità, intrapresi il percorso che tanto feroce mi si accostava davanti agli occhi. Scesi alla prima fermata, intento a guardarmi indietro, lo sguardo su ciò che di più caro mi ero perso per strada, ma la vita, non può essere che questo, attimi di vantaggio su di noi. Risalii con grande fretta per assicurarmi un posto in tribuna al mio arrivo, speranzoso, con le più ingannevoli aspettative mi sedetti a guardare scorrere il tribunale dei miei fallimenti.

Quanti errori, quanti capricci dettati da un mal visione di chi ero. Avevo perso, con gli anni, la natura di me stesso, avevo perso, la possibilità di morire.

Chi muore vive, questo è imprescindibile, ma chi vive può anche sottrarsi dall’idea di morte e accettare gli eventi caotici del cosmo.

Io ero così, trascinato. Portato in braccio dalle persone che mi detestavano, forse meno di quanto lo facessi io, portandomi in alto, verso un ascesa colma di vittimismo asettico.

Il mio demone vestito di un Prêt-à-porter.

Pareva la fine del mio demone, della oscura materia della morte, io, desideravo soffrire ogni attimo, perché di vivere non ne ero capace, di amare tanto meno, di uccidermi non ne capivo il senso. Così, improvvisamente vestito di un Prêt-à-porter, mi sei apparso, uguale agli altri, senza pretese di essere capito, ma io ho saputo vestirti di velluto.

Ti ho rivisto, mio demone, denutrito dalla natura mia e ingozzato di quella degli altri, che morivi, per strada.

Non è facile spiegare come non mi aspettai più nessuna tribuna da quel giorno, ero pronto a rinunciare a salire le scale, ero pronto a stare immobile a guardarmi.
Non è facile spiegare di come riacquistai la fede laica sulla morte, sulla non-paura di scegliere di vivere, sulla preparazione al nulla, ma lo feci. Io da quel giorno seppi morire in ogni istante, per vivere tra gli spazi dell’attimo e tra le serrature chiuse a chiave.

Io seppi di non essere, così sono.



Foto di: stile mille lire
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