Un piccolo soliloquio su come non ci ritagliamo più tempo per dialogare con noi.

Ci siamo persi nella Silicon Valley, abbiamo perso la fede e l’abbiamo colmata con il rumore tecnologico. Che sia laica o religiosa poco importa, oggi non crediamo più a niente, se non al nostro portafoglio digitale che mantiene le nostre relazioni.

Oggi molte persone, purtroppo, guardano anche al portafoglio per scegliere gli amici.
Fa comodo, dicono, avere un amico che investe in borsa.
Fa comodo, dicono, avere un amico che ha conoscenze.
È scomodo, dico io, avere un amico che ti pone davanti la tua interiorità.

Dicevamo, oggi non crediamo più a niente, per quanto io sia un convintissimo ateo, riconosco i vantaggi e gli svantaggi che ha portato la religione.

Partiamo dalla menzogna religiosa che ci trasciniamo ancora oggi appresso:

Il cristianesimo ci ha ingannato sulla vita dopo la morte.

Partendo da un idea di fondo alquanto malsana, cioè che gli uomini in principio erano felici nell’Eden, ci hanno spinto nel diffidare nella infelicità primordiale. La fede in Cristo ci ha spinto a credere che siamo nati Benedetti, ma che per un capriccio divino, ora dobbiamo scontare le pene della vita mondana, aspettando di ricongiungerci con la felicità paradisiaca di quando lasceremo il corpo.

Beh, non credo sia così.

La felicità dipende da noi, dalle scelte che facciamo e dal modo in cui reagiamo alla vita. Partendo da questo presupposto viene semplice pensare che anche il suo antagonista, l’infelicità, dipenda solo da noi.

Io penso, che sia insita nella natura umana la tristezza, che sia un vuoto con cui dobbiamo fare i conti.
Molto più triste di uno che si rende conto del proprio vuoto è colui che non se ne rende conto affatto. Quindi, credere fortemente nella propria interiorità e riconoscere che sia il bene che il male della propria esistenza arrivino proprio da dentro è il primo passo per avere una fede che ti spinga a vivere.

Cosa ha fatto, quindi, la religione di buono?

Ogni fede, ci spinge ad avere momenti in cui parliamo. Che siano soliloqui dichiarati, come quelli filosofici o che siano con un fantomatico Dio, servono per metterci a contatto con il caos che ci governa.
La filosofia, la religione, la meditazione e così via, sono ombrelli bucati che lasciano passare gocce di caos, che pian piano svisceriamo per poter comprendere più su di noi.

E il Cristianesimo in questo ha battuto tutti. Ha dato la possibilità alle genti di parlare tanto con sé di sé.

Cristo si è fermato nella Silicon Valley e ci rimane.

Nell’era del rumore mediatico e della dominazione tecnologica ci troviamo a colmare i nostri bisogni interiori con futili oggetti e meschini valori. Oggi è molto più difficile esporsi con le proprie emozioni. 

Mai mi sento dire: 
<Cosa combini, ora, che ti tiene sveglio la notte?>
oppure
<Quanto sorridi di sera quando ti sdrai?>

Piuttosto: 
<Ma tu investi? Guarda che in Italia non c’è futuro. La pensione? Te la puoi scordare. Ho comprato un bitcoin, se vuoi ti creo un portafoglio digitale>.
<No grazie>.

Non che non mi interessi, ma ho deciso di essere devoto alla mia fede.
Rinuncerò a esperienze, sono certo di questo, dovrò dire no a vacanze o a cene dopaminiche. Già in passato ho messo da parte l’Io per comprarmi un vestito di marca in più. Già in passato i miei comportamenti sono stati alterati dalla paura di risultare diverso. Per troppo tempo mi sono interessato al giudizio degli altri e agli interessi socialmente condivisibili.
Mai succederà nuovamente.

L’influenza del futile.

Tutti noi abbiamo, nel bene e nel male, un bagaglio di esperienze che si trascinano avanti. Tutti noi abbiamo traumi, che non vogliamo superare perché ci terrorizzano.

Trovate ciò che vi influenza negativamente.

Cosa influenza me?

Nella mia vita sono stato tante cose, ma mai una persona equilibrata. Ho sempre fatto fatica ad incasellare le mie emozioni. Più crescevo e mi circondavo di falsi amici sul net, più le mie reazioni alle emozioni diventavano esagerate.

Ho perso, col tempo, la misura dei gesti, facevo fatica a dare il giusto peso alle cose. Vuoi un po’ per pigrizia, vuoi un po’ per facilità d’uso, ma ero connesso 24h e questo incideva su di me, quindi, sugli altri.

Ma mica usavo i social 24h, veramente pensate sia questo essere connessi?

È molto più meschino di così.

Il problema di come usavo Io… come usiamo Noi, la rete è che, anche una volta spento il cellulare, il nostro pensiero ricade molto spesso lì, all’amico che ci ha scritto, a quel video divertente che abbiamo visto, a questa tipa figa che “no fra ti devo far assolutamente vedere…” Ormai condiziona la realtà in cui viviamo. Siamo molto più al riparo quando clicchiamo su uno schermo, ci sentiamo al sicuro e questo inevitabilmente si riflette sulle relazioni che instauriamo.

Quindi per me è fondamentale ricavarmi spazi in cui mi dedico a chi sono

Spazi anche lunghi di riflessione, in cui mi faccio da parte e penso. Osservo, senza interagire sul mondo, per capire il valore della mia inettitudine di fronte al tutto.

Purtroppo non credo sia solo un mio tarlo. Purtroppo credo che molti vivano vite meschine scegliendolo.

Se spendessimo del tempo, basta poco, per staccare da tutti e ci confrontassimo solo con noi stessi, potremmo riuscire a mettere da parte l’odio, l’invidia, la superbia. Semplicemente per lasciare spazio alla vita depurata dalla concezione di nascita come condanna



Ora vado, perché ho predicato bene, ma mi aspettano per uno Spritz e delle chiacchiere su cosa ha fatto l’Inter nell’ultima partita.
Ah si dimenticavo, ovviamente ho scritto tutto da un IPhone.




Il mio ultimo articolo qui.
Consiglio del giorno: questo libro, di cui a breve farò anche una recensione.
Foto di: Shutterstock.

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